Obesità e anoressia legate a carenza “ormone del buonumore”

Può determinare depressione e ansia in donne troppo magre o grasse

14 novembre 2017 / Salute e benessere

Roma, 14 novembre 2017 -  L’eccessiva magrezza o il grave eccesso di peso possono portare ad un di una "molecola del benessere”. Si chiama l’“allopregnanolone” e predisporre a depressione e ansia.

E’ quanto sostiene una ricerca firmata da Graziano Pinna dell'Università dell'Illinois e pubblicata sulla rivista Neuropsychopharmacology. L'allopregnanolone - chiamato anche 'allo' - è un derivato dell'ormone femminile progesterone; generalmente produce un umore positivo e sensazioni di benessere. Ricerche precedenti, spiega Pinna, hanno collegato i bassi livelli di allo a rischio di depressione e ansia. Inoltre, questi disturbi dell'umore sono comuni nelle persone che soffrono di anoressia (oltre metà delle donne con anoressia nervosa ne soffre) e obesità (il 43% degli obesi soffre di depressione). Il gruppo di Pinna ha coinvolto 12 donne con anoressia nervosa, 12 donne di peso normale e 12 donne obese. Nessuna delle donne aveva ricevuto una diagnosi di depressione o preso antidepressivi precedentemente.

Tutte sono state sottoposte a un prelievo di sangue e a questionari per valutare la presenza di disturbi d'ansia e depressivi. I ricercatori hanno trovato che nelle donne con anoressia i livelli di allo nel sangue erano il 50% inferiori rispetto a quelli misurati nel sangue di donne di peso normale; e le donne obese presentavano livelli di allo di circa il 60% inferiori rispetto alle donne di peso normale. Invece la concentrazione di progesterone era normale in tutte le partecipanti, segno che in caso di anoressia e obesità va 'in tilt' il sistema che trasforma il progesterone in allo.

Infine gli esperti hanno visto che più era bassa la concentrazione di allo, più le donne anoressiche e obese soffrivano di depressione e ansia. Molecole che aumentano la produzione di allo potrebbero divenire antidepressivi alternativi rispetto a quelli oggi in uso (che non funzionano in circa la metà dei pazienti), sostiene Pinna.