Lupus: diagnosi precoce e nuovi farmaci possono 'addomesticarlo'

Il 10 maggio si celebra la Giornata Mondiale di sensibilizzazione sulla malattia. Fondamentale anche la prevenzione

7 maggio 2025 / Reumatologia

Scatena un “esercito” di autoanticorpi che prendono di mira i nostri tessuti invece degli agenti patogeni esterni, diffondendosi potenzialmente in tutto l’organismo e producendo infiammazione. Può colpire qualsiasi organo o apparato, dalle articolazioni alla cute, dai reni alle membrane che ricoprono cuore e polmoni, fino al sistema nervoso centrale. È il Lupus Eritematoso Sistemico (LES), anche detta malattia “dai mille volti”. In Italia ne soffrono circa 40.000 persone, nel mondo 5 milioni, in nove casi su dieci donne, spesso in età fertile, come la cantante Selena Gomez, che alla sua convivenza con la malattia ha dedicato una docu-serie. Negli ultimi anni, il paradigma terapeutico del LES è stato rivoluzionato dall’introduzione di nuovi farmaci capaci di cambiarne la storia clinica. In più, grazie alla diagnosi precoce, che intercetta la malattia quando non ha ancora prodotto danni agli organi, e alla prevenzione attiva tra i soggetti più a rischio (come i familiari dei pazienti, che hanno una probabilità di ammalarsi del 10%), la possibilità di ritardare, modulare e tenere sotto controllo il Lupus per crescenti periodi di tempo è oggi sempre più concreta.

In occasione della Giornata Mondiale (10 maggio) dedicata ad accendere i riflettori sulla malattia, la Società Italiana di Reumatologia (SIR) e il Gruppo LES Italiano ODV, uniscono le voci per sensibilizzare su luci e ombre di una condizione emblematica della complessità dell’intero universo delle malattie reumatologiche.

“Il Lupus è una malattia autoimmune con manifestazioni, soprattutto all’esordio, aspecifiche”, spiega il professor Andrea Doria, Presidente SIR. “Questa sua caratteristica può renderlo sfuggente e ostacolarne la diagnosi. Ma la presenza nel sangue degli autoanticorpi responsabili della patologia (in particolare gli anticorpi antinucleo) è la nostra chiave per risolvere il rebus dei suoi tanti sintomi eterogenei. Medici di famiglia o altri specialisti che vedono pazienti con dolore o infiammazione articolare, febbricola persistente, rush cutanei al volto e al tronco, pleuriti o pericarditi non spiegabili o con alterazioni ematologiche, come carenza di globuli bianchi e piastrine, o con proteine in eccesso nelle urine o ancora con il fenomeno di Raynaud, soprattutto se in persone giovani, potrebbero porre il sospetto della malattia e chiedere il dosaggio degli autoanticorpi specifici. Una volta confermata la diagnosi, il paziente dovrebbe essere preso in carico dal reumatologo e iniziare le terapie. Prima questo avviene, maggiori probabilità ci sono di ‘addomesticare’ il Lupus affinché non provochi danni irreversibili. Con l’impiego precoce dei farmaci oggi a disposizione, dai nuovi immunosoppressori, più maneggevoli, ai biologici che possono cambiare il decorso della malattia, la remissione è possibile, anche per periodi prolungati. Questo ovviamente non significa guarire dal Lupus, ma riuscire quantomeno a tenerne sotto controllo i sintomi, migliorando la qualità di vita dei pazienti”.

“Viviamo un periodo di grande fermento e innovazione nell’ambito di questa malattia”, conferma Rosa Pelissero, Presidente del Gruppo LES, associazione che da quasi 40 anni supporta e dà ascolto a persone con Lupus e loro caregiver in tutta Italia. “Grazie ai progressi della ricerca, ricevere una diagnosi oggi è tutt’altra storia rispetto a dieci o venti anni fa. Ma continuiamo a raccogliere testimonianze di una convivenza non facile con la malattia: stanchezza, dolori diffusi, difficoltà a trovare ascolto e comprensione nei vari ambiti relazionali, tra cui il lavoro e la scuola. Tutto porta i pazienti a sperimentare un malessere che non è solo fisico ma anche psicologico. Alcune persone faticano ad accettare la diagnosi e a parlarne. C’è perfino chi chiede se il Lupus sia contagioso. Serve, insomma, ancora molta informazione su questa patologia, guidando i pazienti in un percorso che li accolga e aumenti la loro consapevolezza delle opzioni oggi disponibili. Ad esempio, non tutte le giovani pazienti sanno che la gravidanza, un tempo preclusa, oggi è possibile ma va programmata”.

“Il vero grande scoglio – aggiunge Pelissero – resta quello del ritardo diagnostico e dell’accesso alle cure. Possono volerci fino a 20 mesi per avere una diagnosi. E anche dopo averla ricevuta ci possono essere rallentamenti e difficoltà nell’avviare i trattamenti a causa delle lunghe liste d’attesa per visite ed esami specialistici. Tempo prezioso in cui la malattia avanza e può aggravarsi. C’è poi il problema di assicurare ai pazienti continuità terapeutica, ad esempio con la possibilità di avere uno specialista di riferimento o con ambulatori di transizione per gestire il passaggio dalla pediatria al mondo degli adulti. Il Lupus è l’esempio concreto di come un sistema sanitario pubblico che funziona può fare davvero la differenza nell’esistenza delle persone, perché poter accedere a cure appropriate nei tempi giusti significa non solo stare bene, ma anche avere una vita attiva, un lavoro, una famiglia”.

“Occorre senz’altro un impegno maggiore per ridurre le liste d’attesa”, evidenzia Doria. “Il nostro sistema sanitario riesce ancora a fare diagnosi di Lupus più rapidamente rispetto ad altri Paesi e anche gli studi sulla remissione mostrano come l’Italia raggiunga questo risultato molto più frequentemente rispetto, ad esempio, a Stati Uniti e Australia. Anche nell’accesso all’assistenza specialistica e all’innovazione, il nostro SSN è ancora un esempio positivo nel quadro internazionale, ad esempio con i prezzi dei farmaci biologici più bassi rispetto a Francia e Germania. Ma il sistema va rafforzato per rispondere in modo più efficace alle esigenze e alle lacune riscontrate dai pazienti”.

“Uno degli ambiti su cui andrebbero intensificati gli sforzi è quello della prevenzione, di cui si parla ancora troppo poco in reumatologia, che è di tre tipi: primaria, secondaria e terziaria. La secondaria si ottiene con la diagnosi precoce, cercando di intervenire tempestivamente per modificare in parte il decorso della malattia. Quella terziaria è finalizzata a prevenire le complicanze, come la nefrite lupica, in cui il sistema immunitario attacca i reni, o manifestazioni neurologiche, aterosclerosi, infezioni. Ma il fronte davvero innovativo è quella della prevenzione primaria negli individui più a rischio. Sono i familiari dei pazienti e i soggetti in cui sono stati riscontrati anticorpi antinucleo in assenza di sintomi. Entrambi, pur non avendo alcuna manifestazione di Lupus, hanno una maggiore probabilità di sviluppare la malattia. Se questi pazienti vengono monitorati e invitati a adottare alcune strategie preventive come smettere di fumare, avere una sana alimentazione, evitare l’eccessiva esposizione al sole, assumere vitamina D e svolgere regolare attività fisica senza carico, forse non potremo evitare che sviluppino la malattia ma potremmo ritardarne l’insorgenza o attenuarne la gravità, aumentando le chance di successo delle terapie”, conclude il Presidente SIR.