Malattie reumatologiche e back to school
Quando crescere vuol dire anche imparare a gestire una patologia cronica
5 settembre 2025 / Reumatologia
L’inizio di ogni nuovo anno scolastico segna un fondamentale momento di passaggio nella vita di tutti gli studenti, che realizzano di essere diventati “più grandi”. Simbolo di ripartenza e riorganizzazione, il back to school può rappresentare, per migliaia di giovani affetti da malattie reumatologiche pediatriche, anche l’occasione in cui ripensare la gestione della propria patologia e affrontare la cosiddetta “transizione”, lasciando la reumatologia pediatrica per entrare nel mondo della medicina dell’adulto.
“In Italia, ogni anno, 10.000 minori ricevono la diagnosi di una malattia reumatologica, come artrite idiopatica giovanile, lupus, connettiviti o vasculiti”, illustra il Prof. Andrea Doria, Presidente della Società Italiana di Reumatologia. “Dopo essere stati seguiti da uno specialista pediatra, per i più grandi di loro arriverà il momento in cui dovranno iniziare ad affidarsi a un nuovo medico, il reumatologo degli adulti, e diventare attori protagonisti nella cura della propria condizione, affrancandosi gradualmente dall’intervento dei genitori. Così come si preparano ad affrontare nuove sfide scolastiche e autonomia crescente, i ragazzi che convivono con una malattia reumatologica hanno davanti a sé un altro importante ‘rito di iniziazione’: imparare a gestire una patologia cronica”.
Nella stragrande maggioranza dei casi, le malattie reumatologiche pediatriche accompagnano il paziente anche nella vita adulta. Questo rende la transizione un passaggio inevitabile e molto delicato che, come ricordano gli esperti della SIR, non può essere lasciato al caso. “Il bambino non è un adulto in miniatura”, spiega il Prof. Roberto Felice Caporali, Presidente Eletto della SIR. “Ha esigenze cliniche e assistenziali diverse, legate alla crescita fisica e psicologica. Allo stesso modo, il giovane adulto si confronta con nuovi bisogni, come la contraccezione o la gestione dell’autonomia terapeutica. Per questo la transizione deve essere un processo graduale, strutturato e condiviso tra pediatra reumatologo, reumatologo dell’adulto, paziente e famiglia. Un passaggio disorganizzato può portare a interruzioni di terapia, ritardi nelle cure o perdita di follow-up. La letteratura mostra, invece, che una transizione ben organizzata riduce riacutizzazioni e migliora l’aderenza terapeutica e la qualità di vita”.
La European Alliance of Associations for Rheumatology (EULAR) e la Paediatric Rheumatology European Society (PReS) hanno stilato alcune raccomandazioni in proposito:
- la transizione dovrebbe prevedere una serie di incontri, e non un singolo evento, durante i quali siano presenti entrambi gli specialisti che si avvicenderanno nella presa in carico del paziente;
- è necessario un documento di transizione, che riassuma storia clinica e terapeutica del ragazzo;
- il processo deve iniziare intorno ai 16 anni e concludersi quando il giovane è pronto, di solito entro i 18–20 anni;
- va favorita l’autonomia del paziente nella gestione della malattia (conoscenza dei farmaci, gestione degli appuntamenti) mentre il coinvolgimento dei genitori deve diminuire gradualmente;
- quando possibile, va nominato un transition coordinator o nurse manager che accompagni il percorso.
“Insomma, non basta spostare un nome da un’agenda a un’altra – aggiunge Caporali –. La transizione non deve essere traumatica, ma un percorso costruito per garantire continuità di cura, fiducia e autonomia al paziente, supportando anche i genitori in questo cambiamento. È il pediatra reumatologo che valuta quando iniziare il processo, che sarà sicuramente facilitato se la malattia è ben controllata e in remissione. Il reumatologo dell’adulto, dal canto suo, deve essere attento nell’approcciare un paziente che non è di nuova diagnosi ma ha già un suo vissuto di malattia e di cura di cui tener conto”.
“È fondamentale – conclude l’esperto – che il giovane veda i due professionisti collaborare durante gli incontri di transizione. Dovrà iniziare a recarsi in una nuova struttura e a interfacciarsi con nuove persone. Questo può creare disagio, timore, insicurezza. Se il paziente viene introdotto nel nuovo ambiente dal pediatra che lo ha seguito fin dall’inizio, il tutto risulterà più ‘indolore’. E quando la reumatologia pediatrica e quella dell’adulto sono distanti, gli strumenti digitali possono venirci in aiuto. Grazie al teleconsulto è più semplice far partecipare tutti i medici necessari all’incontro”.
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